OLYMPIA E LA LIBERTÀ



Olympia sorgeva.
Su quella panchina in mezzo al niente lei stava.
Avvolta da una certa aurea di maestosità si ergeva, lì, anziana e leggendaria.
Non più un futuro, per lei.
Aveva vissuto. Lottato. Sofferto.
Grintosamente amato.
Il tutto con coraggio, un coraggio da donna di un tempo, indiscutibilmente unico.

Amélie, figlia di un mondo fatato, la vide.
Ne percepì il battito forte e costante del cuore. Anziano, sì, ma non arreso.
Ne venne rapita.
La giovane donna del futuro.
Senza passato. Senza origini né nonni. Senza storie.
Solo fantasia e farfalle, a guidarla.
E un anello. Semi-giallo e semi-argenteo.
Per metà l’uno. Per metà l’altro.
Come la vita.

Il sorriso di Olympia la ferì.
Bruciò l’arida superficie e andò dritta al cuore.
Forse nemmeno la vide, mentre parlava.
Storie, narrava.
Le donava un passato. Un’origine. Una nonna.
Forse nemmeno la vide, mentre intesseva la guerra.
Una guerra vicina e lontana, fatta di ingiustizie e di “Raus!”, senza terra, senza cibo, senza volti umani ormai.
Prigioniera di tedeschi, l’anziana.
Prigioniera di se stessa, la giovane.

Non più guerre armate avrebbe visto, Amélie.
Non più armi, né ferite, né fischi di sirene a soffocarle la libertà.
Non più quella paura.
Ma un’altra.
La  sua.
La sua stessa paura che la rendeva come e più prigioniera di carcerieri come e più sanguinari.
Non fuori ma dentro.
Nel cuore.

Il sorriso di Olympia la ferì.
Sapeva.
Come facesse a conoscerla così, senza nemmeno vederla, Amélie non capiva.
Assente e tremendamente presente pareva.
In un passato dove aveva vissuto. Lottato. Sofferto.
Grintosamente amato.
Il tutto con coraggio, un coraggio di donna di un tempo, indiscutibilmente unico.

Unico. Come il futuro che aveva in mano Amélie.
Un futuro dove avrebbe vissuto. Lottato. Sofferto.
Grintosamente amato.
Il tutto con coraggio, un coraggio di donna di ogni tempo, indiscutibilmente

LIBERO.

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